traduzione di Anna Maria Carpi
collana Adamàs, La Vita Felice, Milano, 2023
(collana diretta da Tommaso Di Dio, Vincenzo Frungillo, Ivan Schiavone)
Il volume di versi di Heiner Müller, Non scriverai più a mano, resta l’unica raccolta pubblicata in Italia, grazie alla traduzione di Annamaria Carpi, del grande drammaturgo tedesco. Ora la collana Adamàs permette al lettore italiano di ritrovarlo tra gli scaffali delle librerie. I testi che compongono l’antologia sono stati scelti dal poeta Durs Grünbein, la qual caso aumenta sicuramente l’interesse per questo libro, perché, se Müller era stato il poeta-drammaturgo che è arrivato appena a vedere la fine dell’ex DDR (muore a Berlino nel 1995), Grünbein è il poeta che più di altri ha saputo cantare nei suoi versi il delicato passaggio della Germania divisa a quella unificata. In entrambi gli autori la Storia interviene nel presente come tribunale delle gesta degli uomini. Anche nella poesia di Müller, così come avviene nel suo teatro, la storia della Germania si confonde con quella occidentale e il destino collettivo passa attraverso le vicende dei corpi individuali:
SOLO CON QUESTI CORPI
Stati utopie
L’erba cresce
Sui binari
Le parole marciscono
Sulla carta
Gli occhi delle donne
Si raffreddano
Congedo dal domani
STATUS QUO
Così come la vita degli uomini comuni si intreccia con il destino delle figure di grandi poeti della nostra tradizione, Orazio, Shakespeare, Lautréamont, l’amato Brecht. Le loro voci, che compaiono come assoli o fiati di fantasmi nelle diverse composizioni, ci suggeriscono qualcosa sul ruolo dell’artista nell’Europa Centrale:
rovine i poemi, come i corpi, a lungo amati e ora
fuori uso, sul cammino della stirpe non infinita
che ha sempre bisogno di qualcosa
tra i versi un lamento.
Grünbein nel suo famoso poema Vom Shnee (Della neve ovvero Cartesio in Germania) ha provato a ricomporre quelle rovine attraverso la narrazione in versi della fase finale della vita di Cartesio. Il razionalismo cartesiano affronta in questa singolare opera l’angoscia delle morte raffigurata in una tempesta di neve. Il libro dell’erede della nuova poesia tedesca ricomincia lì dove si era fermata la poetica postmoderna di Müller. Ma il panorama desolato nel quale si muovono i suoi personaggi, il candore straniante della neve in Cartesio, ad esempio, sono eredi delle scenografie e delle drammaturgie del poeta di Eppendorf. Cosa ne è dell’uomo occidentale?
In Müller, sia nel drammaturgo che nel poeta, la Storia con le sue rovine è protagonista, come nel testo teatrale Anatomia Tito Fall of Rome. Un commento shakespeariano. Qui lo sguardo postmoderno non è però disilluso o ironico, ma fatto di tragico lirismo e per questo tanto più etico. Anche l’evocazione delle due Germanie, ancora divise, è la figurazione di un destino di contrapposizioni e di scontro al quale bisogna dare un senso diverso e nuovo. Come in una delle poesie del volume che recita:
Traverso il confine cresce e cresce l’erba.
L’erba va strappata
non smette di crescere traverso il confine.
Non scriverai più a mano rende bene la poetica di Müller, il suo concepire l’opera d’arte come strumento di indagine. La poesia non è quindi spazio intimistico da sottrarre all’impegno politico del teatro brechtiano ma continuazione della stessa poetica con altri mezzi, tant’è vero che Müller ha scritto poesie fino alla fine della sua vita. Del resto, la stessa scrittura teatrale era una prosa ritmica e quindi liminare alla versificazione così come avveniva nel teatro elisabettiano e shakespeariano da lui tanto amato. Con i versi di questo volume entriamo quindi nel corpo vivo di una drammaturgia che è sia personale che politica e culturale. La distinzione arte e vita vacilla, si dilegua mentre procediamo nella lettura dei versi:
A VOLTE GIDENDOMI I MIEI PRIVILEGI
Per esempio in aereo whisky da Francoforte a Berlino (Ovest)
Mi coglie ciò che gli idioti dello «SPIEGEL»
Chiamano il mio amore furioso per il mio Paese
Selvaggio come l’abbraccio di una creduta morta
Regina di cuori il dì del Giudizio
Il poeta evidentemente si sentiva parte di una categoria che ancora poteva dar voce e interpretare snodi cruciali della cronaca e della vita pubblica. Il postmoderno di Müller, quindi, rischiava e sfuggiva la disillusione del distacco ironico. In altri componimenti si fa chiara e drammatica la sovrapposizione di almeno tre piani, quello della tradizione teatrale, della vita sociale e della vita intima. In particolare, la poesia che ricorda la morte per suicidio di Inge, prima moglie del famoso drammaturgo, avvenuta nel 1966. La visita immaginata sulla tomba della sua prima consorte diventa un richiamo evidente all’Amleto di Shakespeare e alla scena del ritorno in patria del principe di Danimarca e la sua sosta al cimitero:
In un pomeriggio di sole
Attraversando la morta città di Berlino
Di ritorno da qualche estero
Ho sentito il bisogno
Di disseppellire mia moglie dal suo cimitero
Su di lei ho buttato io stesso due palate
E di vedere cos’è rimasto di lei
Ossa che non ho mai visto
Di tenere il suo teschio tra le mani
E di raffigurami come era il suo viso
Dietro la maschera che portava
Attraverso la morta città di Berlino e altre città
Quando era rivestito dalla carne.
Non ho ceduto a questo bisogno
Per timore della polizia e delle ciance dei miei amici.
Müller opera in questo testo attraverso la sovrapposizione e l’intensificazione semantica dell’immagine: stando al riferimento shakespeariano, la moglie Inge diventa sia lo scheletro del giullare di corte Yorick, di fronte al quale Amleto tiene un suo celeberrimo monologo, che il cadavere della pura e innocente Ofelia, che si appresta ad essere seppellita, ma allo stesso tempo è anche la follia di Amleto portata in giro come una maschera in giro per l’Europa. La poesia ha la forza di tenere insieme in pochi versi la critica al potere, l’innocenza ma anche la voce libera e folle della giovinezza.
Vincenzo Frungillo