Regeneration (1915). Melodramma sociale di ambientazione gangsteristica. È il programma walshiano: reietto semianalfabeta conquista il cuore della fanciulla dall’animo nobile, respingendo nell’abiezione il procuratore distrettuale, vanesio e risentito, prototipo del detestato maestro di cerimonie. Saggio griffithiano di montaggio parallelo e alternato, con uno stupefacente uso della mdp.
The Thief of Bagdad (1924). Avventura fantastica con Douglas Fairbanks. L’annuncio della Terra promessa (a tutti) alluso nella denotazione, si incrina, connotativamente, nella fuga fantastica dell’eroe senza paura, che, infine, non ritorna a casa, ma continua, slanciandosi verso la Luna, a destinarsi a se stesso, facendo coincidere avventura e destino.
What Price Glory (1926). Dramma bellico picaresco e avventuroso. Quando il cinema apre la possibilità di esplorare uno strato di senso che il linguaggio verbale, per funzionare, può solo presupporre, ma non può rappresentare. L’azione e il suo rovescio, violenza e amore coesistono in questo dramma anti-bellico, interpretato da Victor McLaglen e Edmund Lowe, ma, forse, l’immagine più bella, Walsh la dona a Dolores De Rio, inginocchiata sul campo di battaglia scavato da buche rigonfie di terra e cadaveri, spettralmente avvolta da baionette e elmetti conficcati nel terreno come croci.
In Old Arizona (1929). Western. Dopo aver sperimentato l’uso della mdp montata sul dolly, Walsh gira il primo film sonoro realizzato in esterni, un western con il bandito Cisco Kid, già messo in scena da John Ford (che di What Price Glory aveva girato alcune scene). Il regista voleva girare in presa diretta la registrazione dei dialoghi in esterni, accompagnati dal rumore del vento, della pianura, degli animali.
The Big Trial (1930). Western epic con un giovanissimo “Duke” Wayne. Realizzato in 70mm, questa odisessa di un gruppo di pionieri, fu un disastro commerciale. Come succede spesso in Walsh, il film presenta un annodarsi di piste: percorso narrativo e percorso descrittivo, intersecati fra loro, si intrecciano con il percorso geo-topografico e il percorso storico/epico: l’azione è il farsi-spazio del movimento dei pionieri e della dinamica-respiro del movimento dei loro corpi imbottiti di sogni.
The Roaring Twenties (1939). Gangster/Noir. Walsh incontra Jimmy Cagney e firma il suo manifesto. E a Bogart non rimane che guardare l’esemplare farsi del ritmo walshiano degli anni Warner (il sodalizio con Jack Warner inizia con questo film) e la morte michelangiolesca di Cagney.
They Drive By Night (1940). Noir. Poker d’attori: George Raft, Ida Lupino, Ann Sheridan, Humphrey Bogart, più bonus: Alan Hale. Il Male è usura, nocciolo del male, inferno che brucia senza tregua, tumore che guasta ogni cosa, versificava Ezra Pound; e l’invidia è duale, causata da un’avidità originaria, tende a possedere completamente il suo oggetto senza preoccuparsi della sua eventuale distruzione, dopo averlo fantasticato e idealizzato, spiegava la Klein. Walsh, senza leggere l’uno e l’altra, lo sapeva e lo ha fatto vedere.
High Sierra (1941). Noir. Bogart in excelsis, dopo dieci anni di gavetta – perché Raft, che non voleva morire alla fine del film, rifiutò la parte (e nello stesso anno rifiutò il ruolo di Sam Spade nel primo film di Huston: ma Bogart lo accettò e sappiamo come andò a finire…). “Starò bene quando vedrò che l’erba è ancora verde” dice Roy Earle, ma, appena fuori dal carcere, inciamperà nella sceneggiatura destinale della macchina (sociale) ammazzacattivi.
The Strawberry Blonde (1941). Commedia. Con Cagney, Olivia De Havilland e la debuttante Rita Hayworth. Détour con itinerario bressoniano (“Oh Jeanne, per arrivare fino a te, che strano cammino ho dovuto fare”, diceva il borseggiatore), crolli senso-motori rosselliniani e campi-controcampi à la Ozu. Dopo essere stato risucchiato nella canna di una tromba, il dentista James Cagney depenna la cattiva immagine della bionda fragola Rita, per prendere fra le sue braccia la dolce e reale Olivia de Havilland.
Manpower (1941). Dramma/Noir. Marlene, fulminandoli entrambi, spezza l’amicizia fra Edward G. Robinson e George Raft. Con gli elementi della natura, che si fa beffe – già nell’incipit – della razionalità tecnologica, Walsh duplica, come un’eco, la violenza della passione amorosa che turbina lungo il filo dell’alta tensione (sul limite fra amicizia e inimicizia, amore e morte), su cui dullano gli ex-gangsters degli anni Trenta, incuranti degli schiaffoni della pioggia.
Thet Died With Their Boots On (1941). Western. Basterebbe dire che è il quarto capolavoro di questo sorprendente 1941 o che è stato più di una volta détournato da Guy Debord. Quando l’atto smargina l’azione. L’insuperabile Errol Flynn, in questo Aguirre del West, ha afferrato la coda del tappeto di Fairbanks. Saggio di economica energetica.
Gentleman Jim (1942). Commedia biografica. Dopo aver fatto l’attore per John Ford, l’ex-campione del mondo dei pesi massimi James “Gentleman Jim” Corbett, diventa un personaggio cinematografico. Ancora una volta l’interprete è Flynn. Messa in scena del fair play che – a dispetto delle attese partorite dalla logica discorsiva dei villani rifatti, con i soldi dei minatori sfruttati, che organizzano l’incontro – unisce, l’uno all’altro, i due pugili (Flynn e Ward Bond), anziché dividerli, realizzando uno scambio simbolico, contro la coupure che – come da copione – esige la loro distinzione e contrapposizione. Il ritmo è come la danza di Flynn, prima di Cassius Clay.
Objective Burma (1945). Dramma bellico. Errol Flynn, questa volta, entra di schiena, senza rumore. Non è una rappresentazione della guerra: è la guerra. Per quanto umanizzato e ridimensionato, Flynn può ancora guidare la pattuglia perduta, ma più alla ricerca delle loro ragioni che non di quelle della guerra. Cinema di sintesi: il raccordo di individuale e universale è la missione da svolgere, nell’intervallo tra ideale e reale, mappe e giungla, comandi e cammino.
Pursued (1947). Western, noir e psicoanalitico, d’altronde, il protagonista è lo spigoloso Bob Mitchum. Racconto del superamento di una linea d’ombra di un soggetto legato alla Legge e al Nome del Padre. Nella fotografia audace di James Wong Howe (The Strawberry Blonde, Manpower), questo soggetto pursued passa all’atto facendo la trasgressiva e freudiana domanda dell’origine, rifiutando il divieto di istituzioni e famiglia: perde la ragione, ma ritrova il pensiero.
Colorado Territory (1949). Western remake-remodel di High Sierra, con Joel McCrea e la devota (a Walsh) Virginia Mayo. Panoramiche sconvolgenti e mesas possenti fanno da sfondo ad una nera vicenda che oppone carattere e destino, il cui dissidio si consuma nella maestosa architettura dei canyon, nelle fenditure delle imponenti pareti verticali rocciose, che, nell’indifferenza, come una natura matrigna, assistono alle distruzioni dei cicli naturali e vegliano sulle rovine. Lo spettacolo della natura è scioccante, toglie il respiro: è l’immagine di un divenire perpetuo, chiuso al fuorilegge Wes McQueen da un complotto sociale.
White Heat (1949). Noir con Cagney, la Mayo, Steve Cochran e Edmond O’Brien. Gangster’s movie esplosivo e ultimativo. «In noi si accumulava da molto tempo la materia infiammabile, e ora qualcuno di fuori accende la miccia. Dal nostro interno parte l’esplosione» (Georges Bataille).
The Enforcer (1951). Noir/poliziesco. Messa in scena di un racket generalizzato, un controllo anonimo che giunge a braccare l’uomo fin nei suoi pensieri. La voce del procuratore Humphrey Bogart diventa analisi (conoscenza e smascheramento) del reale liberato dalla cortina di questa rappresentazione invisibile, la sua voce fa di se stessa e delle altre voci registrate, il testo del reale; ancora più forte dei pugni del picchiatore dell’incipit del film, rinchiuso nella sua rappresentazione (di duro). L’indagine di Bogart si configura come uno sguardo insostenibile e inestinguibile del reale.
Along the Great Divide (1951). Western con Kirk Douglas (corpo-rigido-sul-punto-di-esplodere), Walter Brennan e Virgina Mayo. Tessitura di sfide, costellazione di sentimenti e gesti dove il darsi di un gesto o il rivelarsi di un sentimento suscita e rinvia ad un altro gesto o ad un altro sentimento. Ma la sfida più inquietante, il duello che disorienta e getta nello smarrimento (di sé), è giocato sulla linea di divisione tra sé e sé, cui allude il titolo; nell’attraversamento del deserto, topos del cinema western e simbolo della crisi del soggetto e delle sue certezze; vuoto di civiltà, tabula rasa di regole e convenzioni, nel deserto il soggetto, esausto e allucinato, oscilla e vacilla, quando, fra le pieghe delle dune, prendono corpo i fantasmi.
Captain Horatio Hornblower (1951). Avventura di mare con Gregory Peck e ancora la Mayo. Itinerario fuori rotta dell’ennesimo personaggio insubordinato, forte perché, come spesso in Walsh, consapevole della sua vulnerabilità.
Distant Drums (1951). Western (il primo a colori), finalmente, con Gary Cooper, remake-remodel di Objective Burma girato nelle paludi degli Everglades, come il Seminole di Boetticher. Viaggio nel cuore di tenebra della civiltà.
The Lawless Breed (1952). Western. Rock Hudson (praticamente scoperto da Walsh qualche anno prima nel debutto al colore di Fighter Squadron, 1948)è John Wesley Hardin (quello che canta Bob Dylan), in una fiaba sul ritorno a casa dell’eroe condannato in nome del Padre.
Blackbeard the Pirate (1952). Avventura di mare del pirata Barbanera, figurale incarnato, origine del suo gioco e fonte dei suoi principi. Unico proprietario di se stesso e della sua ruzzantiana snaturalité.
Saskatchewan (1954). Western con Alan Ladd. Saggio esemplare sulla differenza fra tragitto e traiettoria, articolato sull’intreccio di predestinazione e frase ermeneutica; i tempi deboli e tempi forti, equilibrati insieme, armonizzano l’azione narrativa che si inscrive perfettamente nell’ambiente geotopografico, con una panoramica d’apertura straubiana.
Battle Cry (1955). Commedia e dramma bellico. Girato in Cinemascope per inquadrare orizzontalmente, nella succesione psico-topografica, il pieno dell’azione, quella che si dipana nel caos violento delle battaglie militari, e quella che si svolge nelle piccole avventure e disavventure d’amore dei marines.
The Tall Men (1955). Western. Primo di tre film con Clark Gable, in compagnia della focosa Jane Russell indecisa fra il mandriano dai gusti semplici Gable il villano rifatto Robert Ryan. Ultimo sussulto di classicismo e forma pura del pensiero fisico, ha detto una volta Wenders. Gable è l’eroe che, dopo perigli e lotte, dopo la battaglia o in attesa di riprenderla, riposa fra le braccia del Mondo e della Russell.
The King and Four Queens (1956). Western/commedia. Il classicismo volge in barocco (con fotografia fiammeggiante di Lucien Ballard), in un film splendido e atipico. Il re è Gable (“The King” era il suo soprannome), avventuriero dandy di nerovestito, che corteggia e seduce, passeggia e danza al chiaro di luna sul ballatoio della grande casa circondata da rovine, sfila e si esibisce con un’andatura che è come un disegno tracciato da una matita o un pennello, sotto l’attacco degli occhi vogliosi delle quattro “regine” surriscaldate dal desiderio.
Band of Angels (1957). Melodramma avventuroso. L’ultimo film con Gable, nei panni di un gentiluomo sudista durante la Guerra civile. È uno dei capolavori più alti del regista, disseminato di barthesiani segni staccati e sensi ottusi, è la mostrazione del rovescio del diritto, il controcampo dei diritti civili. «Noi non siamo mai usciti dal tempo dei negrieri» (Raoul Vaneigem).
The Naked and the Dead (1958). Dramma bellico. Il brutale sergente Croft, gonfio di risentimento, non è uno spartiata, il suo andare sempre diritto, sprezzante del pericolo, il suo gettarsi per primo nella giungla, non discende da un codice d’onore, da una politeia incarnata in gesti e vene, sedimentata nel cursus di una agoghè coltivata: alle Termopili Croft resta, non fugge e affronta il combattimento come nessuno, ma non l’ha scelto lui: ci si è ritrovato solo accidentalmente. È un Tarzan della guerra inadatto alla vita civile. E l’Esercito è solo una cerimonia improntata alla purificazione dalla contaminazione sociale e bacillare: «lo sterminio degli uomini comincia con lo sterminio dei germi» (Michel Foucault).
A Distant Trumpet (1964). Western. L’ultimo film. Ironico e dissacratorio nel rappresentare il tenente, leale e coscienzioso, che, dopo la protesta, rifluisce nel riposo dell’intérieur del focolare domestico. «La tromba è davvero lontana» (Adriano Aprà).
T.D. / Filmografia selezionata e commentata
T.D. / Filmografia selezionata e commentata
Authors
Toni D'Angela Alexandra Cuesta Sylvain George Amanda Boetzkes Raquel Schefer R. Bruce Elder Sophie Lécole Solnychkine Ângela Prysthon Peter Tscherkassky Nicolas Tixier Carlos Losilla Giuliana Bruno Jean-Marie Samocki Raymond Bellour Will Straw Paul Douglas Grant Benjamin Léon Scott Macdonald Peter Hutton David E. James Érik Bullot Eline Grignard Monte Hellman Natalie Dorsky Daniel A. Swarthnas Martin Grennberger Tony D'angela Victor Erice Rinaldo Censi Phil Solomon Erika Balsom Andrea Franco Michael Henry Wilson Gabriela Trujillo Oliver Hadouchi Jean-MichelDurafour Jean Louis Schefer Enrico Camporesi Jean-Paul Manganaro Michel Mourlet Michael Guarneri Dan Sallitt Brad Stevens Adrien Clerc Andre Balso Nicole Brenez Migues Marias Ncole Brenez Jaques Aumont Stephanie Serre Paul Vecchiali Gilberto Perez Kathryn Bigelow Sarah Fatima Parsons Pedro Costa Chris Fujiwara Doris Peternel James Naremore Julio Bressane Yann Beauvais T.D. David Lipson Patricia Kruth Mathias Kusnierz Tanassis Vassiliou Barry Keith Grant Zachary Baqué Vincent Suladié Ikbal Zalila Aude Fourel Monica Maurer. Mathilde Rouxel Robert Bonamy Stephane Collin Ivora Cusack Vincent Deville James June Schneider Clizia Centorrino Lucie Leszez Joyce Lainé David Yon Jeremy Gravayat Jacopo Rasmi